Poe non sbagliava affatto quando ha scritto queste parole. Il ricordo che questo meraviglioso viaggio ci ha lasciato è decisamente impresso nella nostra mente e nel nostro cuore.
Abbiamo deciso di partire subito, il giorno dopo il nostro matrimonio, celebrato in Chiesa e in Italia perché qui ci portava la nostra storia. Prima tappa San Francisco: strade ripide da percorrere in “cable car”, murales colorati, musicisti di ogni etnia sui marciapiedi, tram provenienti da tutto il mondo (compreso il “made in Milan” color arancio), gustosi granchi a Fisherman Wharf da aprire con lo schiaccianoci, il cioccolato da Ghirardelli e il Moma con le sue opere di arte contemporanea (ok non sempre comprensibili…) e infine lo spettacolare Golden Gate Bridge tra le nubi. Da qui si arriva facilmente a Sausalito, cittadina di “villeggiatura” da cui si può prendere un battello per tornare in città e ammirare ciò che resta della storica prigione di Alcatraz.
Seconda tappa Las Vegas dove abbiamo alloggiato al Venetian, uno dei posti più kitsch che abbia mai visto anche se ricostruzione quasi perfetta della nostra Venezia: ponte di Rialto, palazzo Ducale a grandezza naturale, il cielo interno all’hotel cambia colore a seconda del giorno o della notte ma…qualcuno può dire ai gondolieri-tenori che cantano in napoletano (e addirittura seguono un corso di apprendimento) che non è mai esistita come tradizione?
Serata di perdizione c’è da dire perché dopo qualche bicchiere di rosso e diversi mohjiti non ricordiamo bene cosa sia successo dopo…d’altra parte “Paura e delirio a Las Vegas” non è stato girato a caso…
Da Vegas noleggiamo un auto e partiamo per il nostro tour dei Canyons. Matteo è preso benissimo dal suo mezzo tipicamente americano, un SUV in realtà medio per le “utilitarie” che circolano negli States. Quando iniziamo ad adocchiare le rocce rosse non capiamo bene se siamo in un film western o a Gardaland…ma la realtà si prospetta spettacolare quando ci si apre il Bryce Canyon davanti agli occhi: centinaia di migliaia di guglie che sembrano scolpite da un’artista particolarmente preciso. E l’aria, come se fossimo in montagna, pulita!Milano ti fa dimenticare certe cose…
Il giorno seguente è la volta della Monument Valley: come scenario è il classico dei film di John Wayne per intenderci e il nome è proprio ad hoc. Questi monoliti in pietra sono enormi, ti senti proprio una formica a passarci in mezzo.
Ci consigliano di scendere in valle con una guida Navajo e la sua jeep e ne è valsa la pena perché ci ha raccontato diverse leggende sul suo popolo e ci ha spiegato i significati delle rocce che hanno nomi tipo “Le tre sorelle”, “l’occhio dell’aquila”, “l’orecchio del vento”…ci ha anche cantato una canzone Navajo così siamo entrati ancora di più nel mood del luogo in cui ci trovavamo.
Se già questo era immenso, ancora non sapevamo cosa ci aspettava alla vista del Grand Canyon (anche questo nome decisamente non casuale”: un varco gigantesco nella terra attraversata dal fiume Colorado (ehm…se guardate giù non cercate un fiume azzurro, è marrone…così a titolo informativo). Si può percorrere in bici, a piedi o con dei bus ecologici che si fermano in tutti i punti panoramici. Se fate attenzione vi trovate intorno vari animali tipo scoiattoli e cerbiatti.
Qui finisce la parte più movimentata del viaggio perché la nostra tappa successiva sono state le Cook Islands in Polinesia neozelandese.
Al nostro arrivo, ci mettono una classica corona di fiori attorno al collo, ma io resto sconvolta dal profumo: sono gardenie!Mai viste così tante gardenie insieme…scoprirò poi che sull’isola di Rarotonga ci sono enormi cespugli di gardenie.
Ci sconvolge ancora di più il nostro resort: bianchissimo, con tetti di palme e la nostra stanza…più una casetta che una stanza…sulla spiaggia!
Non so voi, ma a me non era mai capitato di vedere il mare dal letto, di svegliarmi con il rumore delle onde, di vedere l’alba dalla spiaggia di fronte. La pace e la tranquillità sono probabilmente venute a risiedere in quest’isola perché lo stress, la frenesia della metropoli e anche la tecnologia (i cellulari non funzionano e Internet è a pagamento ma piuttosto lento) restano un vago ricordo…ma finalmente! Consigliamo a tutti questa cura disintossicante, fa bene e fa vivere meglio.
Abbiamo improvvisamente ricordato cos’è la natura attraverso il rumore e il colore di un mare cristallino (anzi dell’oceano immenso), la vegetazione dell’isola (piante di papaya, di patate dolci, palme da cocco, fiori come ibiscus, frangipani etc…), un arcobaleno sul mare, e soprattutto il cielo stellato: la nostra cena allestita in spiaggia e veramente romantica è stata emblematica perché eravamo letteralmente avvolti dall’oscurità e dai miliardi di stelle tra cui la Croce del Sud che si vede solo nell’emisfero meridionale.
Abbiamo modo di conoscere la gente dell’isola, persone ospitali, accoglienti e con il sorriso sulle labbra. Gente semplice che tiene molto alle proprie tradizioni, infatti passiamo con loro una serata di storia e balli indigeni che propongono ai turisti, ma che sono un ottimo strumento per far conoscere le radici del loro popolo.
Da vedere anche il mercato del sabato mattina pieno di colori e profumi locali…assolutamente da comprare i parei in raso o seta dipinti a mano!
Per fare un graduale ritorno alla realtà, la nostra ultima tappa è stata Santa Monica, cittadina veramente cool alle porte di LA dove abbiamo noleggiato una cabrio per fare un po’ i fighi…
Tantissimi negozi e ristoranti…tra cui l’ottimo Trastevere, italiano doc e da provare quando ormai hai capito che il cibo americano non fa per te.
Visita rapida all’esterno degli Universal Studios e giro d’obbligo a Hollywood e sulle colline di Beverly Hills…nessun VIP, ma nelle vie distribuiscono una mappa alle case per chi fosse interessato (ma tra l’altro, qui la privacy dove va a finire???), a Venice Beach dove di sicuro troverete le classiche ragazze non proprio magrissime sui rollerblade (pensate che qui il look anni ’80 va ancora di brutto!) e infine LA…altissimi palazzi (molto bella la Walt Disney Concert Hall di Frank O’Gehry), traffico pazzesco e gente esaurita: welcome back to the big city insomma…
Dopo tutto ciò potrete immaginare che il rientro sia stato durissimo, ma d’altra parte come si diceva all’inizio, quello che possiamo fare è “conservare calda la memoria”.
Cristina e Matteo - Milano
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